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ECO-ESSENZA a cura di Francesco Corsi,

ARTinGENIO Museum, Officine Garibaldi, Pisa

12-30 maggio 2022

 

Eco Essenza - La mostra “Eco Essenza”, in contemporanea con “A come Amore”, di Mariella Bogliacino, sviluppa il tema della riflessione sulla Natura e l’approccio filosofico e panico al mondo.

Mariella Bogliacino e Fernando Montà, due artisti impegnati in una ricerca sulla materia sul colore e sul segno, ci fanno immergere nelle profondità della vita, nelle “ferite” del mondo, attraverso il segno, il mito, gli elementi della natura.

Opere di grande forza emotiva per entrare nelle pieghe laviche della materia, dove il sangue della terra trasforma la violenza nel sacro e la trasfigura nelle visioni spirituali incarnate nei simboli della storia umana.

La mostra di Fernando Montà, pur indipendente da quella della Bogliacino, affronta temi complementari. Nato in Africa, porta nel cuore la sensualità di quel continente, tra la potenza inquietante della leonessa che incarna l’essenza della natura: violenta, fascinosa e degna di rispetto. Sembra di cogliere un eco divino nelle sue opere che raccontano l’essenza della natura. La tigre che emerge dall’oscurità segna quel fascino tremendo che è carattere del sacro.

La perfetta esecuzione figurativa mostra un’abilità che dialoga in modo armonico con una visione simbolica e informale. Nella forma delle sue ellissi che simboleggiano chiaramente l’esistenza cosmica che emerge dal buio, troviamo le ferite realizzate nell’opera con la sgorbia, a testimoniare che l’essenza del mondo non è la perfezione, ma è armonia tra amorfo e bellezza, tra ferita e gioioso afflato vitale.

L’artista, vissuto nel periodo giovanile nelle campagne piemontesi di Brusnengo, ha esperito il mondo contadino, la semplicità essenziale della vita onesta che si percepisce nella dimensione naturale che mette in scena. Così, oltre alle opere “Essenza”, vediamo l’opera informale “Ferita”, che sembra evocare quasi un DNA di sofferenza nell’essere che sostanzia il virgulto della natura.

Le opere di Montà giungono dall’oscuro alla luce. La pittura dei medievali nasce dal buio per arrivare ai fondi oro, come il cosmo nasce dall’oscurità dell’universo, dagli abissi. Il nero è lo sfondo del colore, che si fa “E-vento”, in un vortice che è trionfo della passione, dell’amore che raccorda il tutto, in un senso di avvicendamenti, di flussi e di ritorni in cui il tutto raccorda le parti. Un globo che perturba eppure rasserena nella sua circolarità, nonostante il solco delle ferite. I solchi tracciati dalla sgorbia, sono incisioni che lasciano intravedere, a chi è più accorto, lo sfondo di plexiglass che riflette la luce e, forse, pure l’immagine frammentata dell’osservatore. Perché, in effetti, l’intento di Montà è quello di coinvolgere chi guarda l’opera d’arte, in una partita seria; non un invito a un puro estetismo, né alla raccolta di una provocazione, così avvezza ai contemporanei, ma una chiamata all’impegno, quasi come fosse una chiamata divina. La Terra è sacra ed è sostanzialmente E-vento, raccolto in una luminosa radura, dove il Vento dello Spirito ci soffia sul viso.

Francesco Corsi

IN-SEGNO | Fernando Montà

Testo critico di Alessandro Allocco

22 Aprile - 5 Maggio 2022

Medina Art Gallery, Roma

L’essenza è la realtà propria e immutabile delle cose, l’universale natura, il principio, il Primo Motore Immobile. E di essenza trattano le opere di Fernando Montà, profondamente legate al simbolismo e alla Creazione. Ma l’essenza (dal latino essentia, derivato di essere) è anche per estensione essenziale, in altre parole indispensabile, non accidentale o accessorio, non contingente.

Nei confini imposti da questa parola – “essenza” - e nelle sue derivazioni si amplia la ricerca artistica di Fernando Montà.

Le sue opere vivono una dualità su diversi livelli: nero intenso e colore luminoso e vibrante, quadrato e cerchio, vecchio e nuovo, levigato e scabro, bidimensionalità e tridimensionalità, concretezza e astrattismo, simbolismo e realtà, tutti inscritti in uno spazio che induce alla riflessione.

Nelle opere di Fernando Montà il tema della protezione e della difesa del nostro ambiente è un bisogno universale genuinamente umano in quanto produce benessere e incide sulle nostre scelte e azioni. Fernando Montà si impegna in questo senso perché sa bene che un paesaggio degradato contribuisce al degrado sociale, il decadimento dell’ambiente rappresenta il decadimento del deposito culturale di una civiltà, un pianeta deturpato deturpa la Creazione. La cura è il segreto palesato dalle opere di Montà: l’attenzione e la meticolosità che il pittore applica nella creazione delle sue opere devono essere le stesse che l’uomo deve avere nella tutela del suo ambiente riconoscendone i valori, salvaguardando e qualificando ogni contesto naturale come spazio necessario per la sua sopravvivenza (essenziale). L’uomo può modellare e modificare lo spazio proprio come Fernando fa con le sue opere: nella sua essenza, ma con rispetto.

Anche il simbolismo è presente nei lavori di Fernando Montà. Tutto parte dal cerchio, dal centro, dal Principio che, come affermò il filosofo tedesco Niccolò Cusano tra i primi sostenitori dell’umanesimo rinascimentale, “è centro dei centri e non può essere che il Creatore, conferenza e centro, dappertutto e in nessun luogo”.

Simbolicamente il cerchio rappresenta il sole: è potere maschile ma, poiché nello stesso tempo simboleggia l’anima e l’acqua, è anche principio femminile e materno. Il cerchio è perfezione ciclica, simbolo perfetto della totalità, esprime pienezza e armonia, movimento, rivoluzione. La ricerca di Fernando Montà si compone anche di significati psicologici moderni (quali ad esempio quelli trattati da Jung) che riconoscono nel cerchio la totalità della psiche, il Sé indivisibile e centripeto che si espande nelle sue opere. Una natura omnicomprensiva, indistinta, inclusiva e universale si rivela nei lavori di Fernando, trait d’union tra vita, sogno e segno che, in ogni sua parte, richiama l’idea di movimento e aspettativa di cambiamento, in particolar modo quando la forma del cerchio viene combinata con quella del quadrato. Questi due elementi connessi sono immagine dinamica del passaggio tra terra e cielo, tra imperfetto e la perfetta aspirazione a un nuovo mondo che ospita lo spirituale nella materia: un compiuto mondo armonico.

Una pittura, quella di Fernando Montà, di essenza che rappresenta e mantiene una coesione tra corpo e anima, tra prosaico e spirituale, tra realtà e aspirazione.

Alessandro Allocco

 

 

TRACCE 2022

Alla Galleria d’Arte Contemporanea “STUDIO C” di Piacenza si inaugura sabato 12 febbraio, alle ore 18, “Tracce”, mostra personale di Fernando Monta’. Nato in Africa, a Santa Isabel (Guinea Equatoriale) ma residente a Torino, Fernando Montà presenta un curriculum critico-espositivo di grande rilievo con mostre prestigiose tenute in spazi pubblici e privati di tutta Italia e di molte capitali d’Europa: Francia, Spagna, Croazia, Ungheria, Slovacchia e poi Marocco e Argentina. Dopo gli studi artistici e quelli dell’Accademia di Belle Arti e il conseguimento del “Premio Pernod” per la grafica (sezione studenti), si dedica all’incisione e alla pittura figurativa con soggetti legati soprattutto all’ecologia e alla difesa dell’ambiente, tematiche da lui particolarmente sentite e mai abbandonate: natura ed ambiente sono infatti, ancora oggi, gli argomenti fondamentali e prevalenti della sua espressione. In questa dimensione, dunque, si viene a collocare la ricerca di Fernando Montà che, attraverso quarant’anni di impegno intenso e costruttivo ha eleborato un proprio, indiscutibile discorso capace di unire la formazione tecnica alla propria identità, al valore degli ideali sociali e culturali, all’intensità di una visione tutta concentrata sull’ambiente e la natura. Appassionato del suo lavoro, ha sempre proceduto con metodo e rigore quasi scientifici affrontando varie tematiche, entrando direttamente, con coraggio e determinazione, nelle grandi e urgenti problematiche del tempo e dello spazio. Ha sempre proceduto per “cicli” Fernando Montà ( la collina, la luna, il vento, tracce, Essenza, in-segno, metamorfosi, ecc. ecc.) seguendo sempre il suo stile, il suo linguaggio, il suo modo di intendere e concepire la comunicazione artistica, un modo di procedere libero e autonomo, non succube delle mode e del mercato. Una ricerca lunga e costante, quella di Fernando Montà, portata avanti con passione e costanza e caratterizzata da pennellate decise e segni indomiti che si riversano con forza e immediatezza sulla tela eliminando ogni presunta oggettività per rivolgersi ad un immaginario variegato e complesso che vuole essere non solo ponderata riflessione sul caos primordiale, ma anche e soprattutto sforzo creativo e fantastico per dirigerlo e governarlo. Pittura, dunque, che si fa magma, materia, elemento nucleare ed energetico che muove e prende vita dal tempo e dallo spazio. Una visione pittorica, quella di Fernando Montà, che tende sempre alla sintesi di opposte tensioni, che appare nello stesso tempo analitica ed emozionale, progettuale e decostruttiva, comunque aperta sempre, ed in ogni caso, all’intervento e alle incursioni dell’istinto e dell’imprevedibile. Le sue forme dipinte irrompono con forza da abissi profondi, da sfondi vorticosi e immersi nel buio della notte siderale, da orizzonti lontani. Sono percorse da deflagrazioni di colore che delimitano e circoscrivono mondi fantascientifici e irreali, un cosmo pulsante di vita e pieno di simboli. La superficie delle opere, lavorata e scavata con fine abilità, percorsa da ferite e aperture riflettenti, è letteralmente investita da incandescenze pittoriche fantastiche, si gonfia e si dilata, crea spazi profondi ed immensi, elabora suggestioni intense, cattura l’osservatore. Un senso grandioso di mistero pervade i suoi quadri e spesso, dal centro della loro superficie, dove quasi sempre si posa l’occhio di chi guarda, si dipartono vortici iridescenti, frammenti e brandelli d’immagini che vivono di luce propria, una luce proveniente dall’interno e dalla materia stessa: una materia stesa con tocchi rapidi e decisi, un puntinismo di delicata e sapiente esecuzione ma vivo e palpitante, quasi irruente. In questa mostra piacentina l’artista presenta vari periodi della sua produzione, compreso gli ultimi, quelli da lui stesso definiti “metamorfosi”, “In-segno” e “Tracce” (da cui il titolo della mostra) e sempre, anche in questi, compare la forma circolare o ellittica, forma non casuale ma fortemente legata al rapporto ancestrale e primigenio dell’uomo con la natura. A livello simbolico, infatti, il cerchio rappresenta la perfezione, l’omogeneità ed è espressione di continuità ed armonia. Inoltre la forma circolare è quella che meglio si presta a simboleggiare la ciclicità del tempo e della vita, del loro inarrestabile divenire. La rassegna, che darà introdotta dal gallerista e critico d’arte Luciano Carini, chiuderà il 24 febbraio.

Luciano Carini

 

 

SENZA TITOLO 2022

Cooperativa Borgo Po e Decoratori - Torino

 

“Senza Titolo" è il nome scelto per la mostra di Fernando Montà, che espone presso la Cooperativa Borgo Po e Decoratori di Torino. 

Le opere presentate in realtà un titolo ce l'hanno tutte, anche se probabilmente non è così necessario, ben potendosi esprimere da sé: le composizioni di un artista si prestano infatti ad interpretazioni e suggestioni diverse, in base alla percezione ed allo stato d'animo del singolo interlocutore.

Poniamoci quindi ad osservare più attentamente in ognuna di esse la composizione, i segni, i colori, le forme: “addentrandoci” nell' opera proveremo così a percepirne l’”essenza”. Essenza era infatti il titolo di un evento del 2012. 

Fernando Montà predilige la forma circolare o la sua trasformazione in ellisse. Il cerchio rimanda ad una concezione cosmica che è molto cara all’artista, poiché lui stesso dichiara di essere al centro della sua ricerca e di appartenere - come tutti gli esseri viventi - alla Terra che ci ospita, che dobbiamo amare e rispettare.

È presente in tutte le opere di Montà un segno vibrato -talvolta anche inciso sulla tavola- che nasce dall’osservazione e dall'acquisizione di elementi presenti in natura; questo segno è frutto di una ricerca stilistica, di equilibrio formale e cromatico raggiunti nel tempo attraverso lo studio, la riflessione e la sperimentazione.

In alcune opere la traccia si staglia drammatica sulla tela, lacerandola: così nel ciclo “Ferite" (2008), “…nelle quali l’immagine di una natura trascurata e violata si traslava sul piano esistenziale, quasi a rimarcare lo sconvolgimento dell’animo umano, quando si allontana dalla pienezza dell’essere e dal proprio equilibrio…” (dal testo “Essenza – Il Cerchio e la Natura").

Oggi la pandemia ci ricorda in modo ancora più incisivo la fragilità dell’essere umano al cospetto dell’universo: pare evocata dagli steli alti e flessuosi presenti nelle opere, che ruotano vorticosamente, agitati dal vento o dalla brezza marina, inclini a lottare contro le intemperie, esili e forti al tempo stesso.

Anche la tematica ambientale è strettamente connessa al periodo attuale: a livello mondiale vengono discusse misure inderogabili per fronteggiare emergenze quali l’inquinamento ed il surriscaldamento globale, la smodata pressione sulle risorse naturali e l’instabilità della produzione alimentare.

Contro l’indifferenza serve una profonda riflessione: dobbiamo fermarci un attimo, per guardare oltre il puro individualismo e munirci di un forte senso di responsabilità.  

 

Irene Montà,  gennaio 2022

“Senza titolo 2022”
Vasti orizzonti interpretativi incorpora il fare artistico di Fernando Montà. La mostra “Senza titolo
2022” ci interroga sul senso dell’essere, sulla sua parte più intima nel rapporto tra uomo e creato;
tra Dio e la Creazione; tra il centro e il confine. Fernando Montà utilizza spessissimo forme
geometriche nelle sue opere e, in maniera quasi esclusiva, il cerchio o la variazione ellittica.
A ben vedere il cerchio non è altro che un punto esteso e partecipa quindi alle sue stesse proprietà
simboliche di perfezione, omogeneità, indivisibilità, indistinguibilità. Il cerchio è la raffigurazione
archetipica del globo che in sé è principio e fine.
Un’espansione del punto perfetto all’interno del quale sono rappresentate le scene dipinte da
Fernando Montà.
Un immaginario che si perde nel ricordo e nel tempo.
Un insieme di colori che spesso si rincorrono nell’armonia indefinita di luoghi mentali immersivi e
totalizzanti.
Un’astrazione reale (anche se può sembrare una contraddizione in termini) che Montà recupera e
imprime sulla tavola, creando suggestioni di linee pittoriche precise, sicure e asciutte, dense di
colore e vibranti di senso. In quel senso sta la sua ispirazione e la sua ricerca in bilico tra
astrattismo, figurativismo e surrealismo, in uno stile personalissimo che concorre a ridefinire, nelle
sue opere, il suo interesse specifico nel confronto con la parte simbolica dell’esistenza.
Una convergenza con quel versante della ricerca artistica che indaga l’interiorità più profonda, ma
nel contempo sonda l’infinito cosmico.
Una pittura traslucida, indissolubile non sfumata in grado di elaborare diverse dissonanze e
rivisitazioni che colgono l’energia vitale (materia stessa dei lavori di Fernando Montà) e che
concretizzano una pluralità di soluzioni, generi, idee espressioni artistiche privilegiate dallo spirito
vivace e passionale di questo pittore colto.
Il nero contiene il colore dal quale irrompe un’interiorità passionale; nero e colore sono fulcro
duale sempre presente nei lavori di Fernando.
La sua ispirazione si nutre di natura, non quella della pittura “en plein air”, ma quella mutuata dalla
memoria e dalle osservazioni attente che creano l’occasione affinchè Fernando possa raccontarsi e
raccontare esperienze, momenti, ispirazioni.
E come in un libro illustrato, le storie si avvicendano e cristallizzano nel tempo una purezza
inusitata. Le superfici lignee graffiate, scavate, ferite, si vestono di linee vorticose dal cromatismo
ricchissimo e sfavillante. E inaspettatamente, il risultato è etereo, sicuramente raffinato. Il nero che
contiene il colore dialoga e compenetra continuamente nel dipinto in una danza che è il senso stesso
del movimento: le fronde battute dal vento richiamano il moto incessante delle onde; i fili d’erba
conversano amabilmente con il vento, i fiori si smaterializzano nel vortice del tempo.


Alessandro Allocco
febbraio 2022

 

 

CONFRONTI, 2016

 

L’impressione è la stessa di qualche anno fa: vortici rigogliosi popolano pianeti sconosciuti e forze invisibili agitano terre incontaminate: l’immersione dell’artista nella natura lussureggiante, scompigliata dal vento, è totale e le acque di un fiume si mescolano con quelle del mare in cui si versano. Le pennellate, a tocchi e filamenti, fluiscono morbide sulla tela accompagnando il senso della brezza. Un’altra opera, racchiusa in una sfera, è accostata a questa (E-V 4, 2004), EsSenza 2011, ma l’impatto è diverso: il colore è quasi sparito, la vegetazione ha i toni brulli della terra riarsa dal sole, la vita della natura è compromessa dalle insensate azioni umane espresse con pennellate affilate come lame che feriscono il supporto rigido con tagli e fori, come un corpo straziato.

Le sopraindicate opere fanno parte della mostra CONFRONTI che abbraccia un periodo di circa quarant' anni (dai primi anni ’70 fino al 2016) e nasce come “raffronto tra due momenti di ricerca pittorica partendo dallo stesso soggetto”. Fernando Montà ripercorre a ritroso il corso del tempo come per un ritorno alle origini e, con pigmenti e supporti diversi, rivisita le opere della giovinezza e degli anni precedenti creando dei lavori nuovi che rispecchiano il proprio percorso interiore e il proprio punto di approdo. Come un cerchio che si chiude. E, infatti, i lavori riproposti sono tutti espressi in una sfera o un’ellisse su fondo nero, scompare la forma rettangolare che potrebbe estendersi all’infinito e predomina la circonferenza che trova in se stessa l’origine e la risoluzione, la fine e la rinascita in una perenne ciclicità. I dipinti recenti hanno un’altra caratteristica: un’anima segreta, un retro nascosto e misterioso. Il fondo del supporto dell’opera è una superficie di plexiglass riflettente che si può intravedere solo attraverso delle incisioni o dei fori fatti con la sgorbia sulla superficie dipinta. Lo sguardo viene colpito da essi come dalla vista di una ferita, gli squarci sono infatti come lacerazioni da arma da taglio o da proiettili e, se si esplora il retro della tavola, si scoprono le colature di colore come sangue da un corpo sfregiato. È l’Essenza, l’Io profondo, puro come la superficie di uno specchio, che emerge dalle ferite del vissuto? È lo sguardo dell’artista che penetra nella più segreta natura delle cose? In questo gioco di rispecchiamenti il gesto incisivo graffia il supporto e la pittura il più delle volte prevale sulla figurazione e sul racconto e si esprime con pennellate acuminate che incidono la tavola.

Le opere in mostra sono venti, la metà più recente si confronta con quelle passate. Uno dei dipinti più lontani nel tempo è “Dallo studio” (1973), un olio su tela: dall’interno di una stanza si può osservare un terrazzo deserto al cui centro c’è una sedia con un vecchio giornale e sullo sfondo un agglomerato di edifici. L’opera è ripresa nel 2016 con la tecnica dell’acrilico su tela, in cui lo stesso soggetto è rielaborato e inserito in un cerchio che ha per sfondo un cielo stellato.

“Persistenza d’immagini” (anch’esso del ’73), è un’acquatinta in cui si accumulano elementi diversi, dalla cupola di San Pietro, simbolo di religiosità, ai motori, indice di progresso tecnologico non disgiunto dall’evoluzione della specie umana - il volto di una scimmia. La presenza di uccelli che si librano liberi nell’aria rimanda al sentimento della natura mentre un grande fiore e un aereo, che punta minaccioso su di esso, rivelano il legame con gli ideali giovanili dei figli dei fiori. Il corrispettivo attuale è “EsSenza” del 2010, anch’esso monocromo ma con i toni del nero; racchiusi in un ovale, presenta gli stessi elementi in un omaggio alle ideologie di allora, tuttavia l’incisione sulla tavola, nuovo supporto, dà origine a un bianco abbacinante e drammatico anche se la presenza degli stessi simboli rivela l’immutabilità dell’artista nonostante il tempo trascorso.

“Simultaneità” 2010, riprende anch’esso un’acquatinta dei primi anni ’70 e presenta la stessa architettura dell’opera precedente, ma qui i soggetti, reiterati, sono solo due: donne e motori. L’artista sostiene di voler tributare un omaggio alla donna nella sua espressione di forza, intelligenza e sensibilità; l’accostamento dell’immagine femminile con la potenza delle auto però è ancora legata a un binomio molto diffuso nell’immaginario maschile.

“Sogno di libertà” ed “Elsa la leonessa” del 2012 (dal lavoro EsSenza), rivisitano con l’acrilico due dipinti della fine degli anni ’70 allorché un gruppo di artisti protestò contro la reclusione degli animali negli zoo. A distanza di anni lo spirito libero della natura offesa, oltre che dell’artista, riesplode come un urlo di dolore attraverso le ferite della tavola da cui emerge, come un lampo di luce, la disperazione degli animali condannati all’estinzione e la solidarietà dell’autore rimasta inalterata, se non acuita dal tempo.

La tensione di Montà verso la natura riappare nell’opera, olio su tela, “Luna” del 2001, con un colore vivido che esalta la vegetazione rigogliosa, ad essa però si contrappone “EsSenza 2010”, acrilico su tavola, con dei toni aridi come la terra dell’Africa, dove l’artista vide la luce. La ricerca passata è così superata ma ancora una volta prorompe, attraverso le ferite del supporto, la sofferenza per le sorti dell’ambiente, accresciuta dalle vicende personali dell’autore. La perdita del colore, surrogata da una maggiore forza che viene proprio dal luminoso fondo segreto dell’opera, non altera l’essenza dell’artista, maggiormente consapevole dei limiti e degli abbagli del progresso umano, anzi ne rafforza l’ispirazione. L’opera “Girasole 2012” che conclude la mostra, nasconde nel proprio retro l’anima profonda e immutabile del pittore: un autoritratto degli anni ’70 che sancisce l’incorruttibilità dei sentimenti e degli ideali. L’autoritratto viene riproposto a distanza di anni, sempre in acrilico, ma stavolta su tela con la tecnica del pointillisme. Il cerchio così si chiude e quello che include le opere recenti esprime tutta la potenza della propria simbologia di armonia e di Eterno ritorno. O, come per Jung, “il Sé e la totalità della Psiche” che si perpetua nel tempo.

 

Maria Erovereti,   2016

 

 

IDENTITA' RIVELATA
    
                  Ci son sempre altri crepuscoli, altra gloria;
                 io provo il logorarsi dello specchio
                 che non si placa in una sola immagine.
                                            Jorge Luis Borges

 

L'immagine è narrazione, documento, testimonianza dell' itinerario di un artista, del fluire incisivo del segno sulle superfici di fogli di carta e tele e tavole, della vibrazione del colore alla luce e dalla luce emerge l'essenza di un'intera esistenza.
In tale dimensione si colloca la ricerca di Fernando Montà, che attraverso quarant'anni di un impegno intenso e costruttivo ha elaborato un proprio e indiscutibile discorso capace di unire la formazione tecnica alla propria identità, al valore degli ideali sociali e culturali, all'intensità di una visione relativa all'ambiente e alla natura.
Una visione che si snoda lungo un percorso mai estenuato e concluso, ma sempre aperto a nuove soluzioni, a simboli, a segnali di un dire legato a una precisa volontà di comunicare, di suggerire una determinante attenzione per i sentimenti umani e per quanto non viene mai decisamente esplicitato, ma che appartiene alla profondità del pensiero e della propria storia.
Vi è nelle opere di Montà una misura espressiva che gli consente di trasmettere il senso di una «lettura» del tutto interiorizzata della realtà, delle attese e delle angosce quotidiane, di quel suo racconto intorno alle «forze di una natura nascosta, che creano suggestioni ed emozioni», alla «denuncia di una natura ferita nella sua essenza con le deturpazioni, gli incendi e le contaminazioni provocate dall'uomo, ma non solo: sono anche le ferite arrecate all'animo umano».
A questa riflessione dell'artista fa da riscontro il «corpus» di lavori presenti alla Martin Arte, con i quali riassume e racconta la vicenda creativa di un'intera vita.
Montà propone, quindi, nove momenti, che appaiono altrettanti spartiti musicali, con opere dal 1973 al 2012, più un autoritratto, che esprimono i capitoli di una narrazione avvertita come le pagine di un diario intimo e personalissimo, di ricordi riconquistati e rivelati, di un dialogo mai sconfitto dalla sperimentazione, ma da questa ha tratto gli elementi essenziali per «costruire» un suggestivo itinerario.
Le opere esposte sono state realizzate su tavola (tamburato), con un particolare intervento sul supporto. Mediante una sgorbia ha praticato dei fori per oltrepassare «la soglia del visibile andando oltre», per «scoprire» che la parte retrostante della tavola è una lastra di plexiglass specchiato e riflettente. L'effetto che si ottiene è quello di penetrare all'interno della rappresentazione, di giungere ai gangli della materia, di andare al di là del piano pittorico per prendere consapevolezza di una realtà diversa e diversamente interpretata e interpretabile. Questo perchè attraverso i fori - suggerisce Montà - compare «una luce che emana dalla lastra specchiata, una luce essenziale che è stata fondamentale per la creazione del dipinto».
Un lavoro che si snoda attraverso i nove settori dell'esposizione, comprendenti due opere ciascuno, che si aprono con l'iniziale «Simultaneità d'immagini», risolta con una «scrittura» estremamente controllata, e proseguono con il «Sogno di libertà» di una tigre e una leonessa, che appaiono i simboli della lotta per la chiusura degli zoo, in particolare quello torinese del Parco Michelotti. E, poi, s'incontrano  «Sedici ministudi  per un'opera”, «Mareggiata» e «Dentro l'onda» con il dinamico fluire della linea.
A questi primi momenti, si affiancano le sezioni «Tracce», «La collina», «Luna» ed «E-vento», che stabiliscono un diretto rapporto con l'osservatore, con il fascino di un riflesso o di una campitura del colore o, ancora, di una concettuale definizione dell'esistenza.
E il vento che piega e trasforma la vegetazione, l'energia imperiosa dell'onda sospinta da una violenta mareggiata, il dolore di una scomparsa tradotto in pannelli di una natura rivisitata e ricomposta («Luna»), concorrono a delineare il cammino di Montà e quella tensione che presiede alla elaborazione di «Colline» dai «rilievi inquietanti», percorse da nuvole scure e incombenti, sino ad approdare a cieli luminosi, rasserenanti, incontaminati di un «E-vento» dove l'artista si riappropria delle sensazioni e delle emozioni.
E un'infanzia ritrovata, la straordinaria natura della Sardegna, il sogno che riscatta la sofferenza, fanno parte della stagione di Montà ma, soprattutto, stabiliscono un decisivo rapporto con l'itinerario dell'umanità sempre condotto dalla ragione, da una sottesa spiritualità, dalla tessitura del segno-colore nello spazio della memoria.

Angelo Mistrangelo   2012



 

Alla scoperta di una nuova luce



L’arte è un continuo divenire. Dalla materia grezza, dalla tela intonsa, il lavoro dell’artista dà vita all’opera, la quale vede la luce come il suo creatore le concede di fare, fino a poi “terminarla”. Ma quando un’opera può dirsi “finita”? Quando lo decide il suo creatore… ma questi può anche essere indotto a guardarla sotto una nuova luce e quindi spinto a ridarle vita ritoccandola, rimaneggiandola, arricchendola o depauperandola di particolari, seguendo nuovi pensieri, nuovi umori. Da questo punto di vista Fernando Montà non riesce a “lasciare in pace” le sue vecchie opere: continuamente queste si ripropongono nelle sue nuove realizzazioni, rifanno capolino, strizzano l’occhio alle nuove opere sussurrando loro la loro storia passata, alitando a queste “figlie” la loro anima, donano la loro storia. Ma Montà non si limita a far “riecheggiare” nelle sue nuove opere quelle del passato. Qualche anno fa riprese una delle sue ultime idee artistiche (le lune di E-vento) e fece un’operazione dal carattere molto forte ed incisivo per lui, riconosciuto come autore dall’animo gentile. “Ferì” metaforicamente le sue opere, interventando su di esse con delle colate di colore rosso sangue a dimostrare ciò che un’ opera può nascondere al suo interno: non solo idea ma corpo, un corpo che può essere “ferito” da una colatura di sangue che rende l’opera “umana”. Non pago di ciò, in questa ultima ricerca artistica, Montà si spinge oltre: non basta più il colore ad indicare metaforicamente ciò che vi è dentro la sua opera. Questa volta l’artista recupera, novello Noè, una coppia di opere per ogni periodo della sua produzione. Ogni coppia torna a vivere a nuova vita su una tavola lignea che viene prima  quasi arabescamente ornata da incisioni filiformi di sgorbia che tendono a trasformare in bidimensionale ciò che una volta era solo dipinto, per poi essere penetrate ancor più violentemente da veri e propri fori, che rimandano al gesto storico dello squarcio della tela per arrivare a vedere ciò che si nasconde dietro/dentro l’opera.
In questo modo Montà ci porta ad una nuova visione della sua opera, ci porta alla scoperta di un  luce retrostante/insita nell’opera, che permette di vedere al di là dell’opera, nel suo interno e qui, immancabilmente, dopo una tale violenza, non possiamo che scoprire “lacrime di colore” che sgorgano dietro/dentro ogni opera. Gocce di sudore dell’artista nello sforzo creativo, lacrime di dolore di animali chiusi in gabbia e lacrime di gioia di animali liberati, schizzi d’acqua di onde lontane, gocce di rugiada di fili d’erba intrecciati, gorghi di luce frammisti agli umori del terreno e ai miasmi dell’anima.
Più l’artista sembra ritenere “concluse” alcune di queste opere del passato, più sembra osare penetrarle, svelare ciò che c’è dietro/dentro di loro, ed una luce nuova illumina le nuove/vecchie realizzazioni di questo animo d’artista così delicato, così tormentato, sempre alla ricerca di una nuova luce …
Paola Barbarossa   2012



Il Cerchio e la Natura



E’ il decimo stadio di approfondimento della ricerca dell’artista, che segna un periodo di quarant’anni di impegno nel campo della pittura.
Tutte le opere sono inscritte in un cerchio o in un ellisse e la scelta di tale modulo non è casuale, ma ha radici profonde, legate al rapporto ancestrale e primigenio dell’uomo con la natura.
A livello simbolico, il cerchio rappresenta la perfezione, l’omogeneità, l’assenza di distinzione o divisione e questo concetto di “totalità indivisa” lo rende espressione di continuità ed armonia.
Il suo passaggio alla forma solida della sfera evoca i pianeti con i loro movimenti rotatori, le fasi solari e lunari che alternano quotidianamente il giorno e la notte, la luce e l’oscurità, scandendo il senso di ciclicità del tempo, in un moto cosmico continuo e perfetto.
L’artista si avvicina al pensiero dei Nativi d’America, per i quali il cerchio e la ruota esprimevano il principio di relazione dinamica con tutto ciò che ci circonda, in primis l’ambiente naturale ed i nostri simili. Gli Indiani d’America consideravano il cerchio come il simbolo principale per comprendere i misteri della vita, in quanto avevano osservato che esso compariva ovunque in natura: negli astri, nei movimenti planetari, nell’arcobaleno, nei nidi degli uccelli …
Le opere “Collina”, “Luna”, “E –vento”  sembrano sussurrare che ogni energia – umana o cosmica – scorre su fili estremamente fragili, tesi fra i frammenti dell’universo: alti steli flessuosi e sinuose forme vegetali ruotano vorticosamente, come esili fili d’erba agitati dal vento o dalla brezza marina, intrecciati in un groviglio fitto ed impenetrabile .
Comprendere che la natura è rigogliosa e forte, ma altrettanto delicata e bisognosa di protezione: questa la consapevolezza sulla quale si basa il senso di “sacra responsabilità” dei nativi nei confronti di ogni essere vivente o di ogni elemento presente sulla Terra, che per l’artista si traduce in un profondo rispetto per la natura ed in una spiccata sensibilità nei confronti delle problematiche eco – ambientali.
Se il cerchio rappresenta l’equilibrio naturale e l’armonia con l’ambiente circostante, allontanarsi da esso genera dubbio, smarrimento, annientamento della propria possibilità di realizzazione… E’ cio’ che emergeva in precedenti opere pittoriche del 2008 (”Ferite”), nelle quali l’immagine di una natura trascurata e violata si traslava sul piano esistenziale, quasi a rimarcare lo sconvolgimento dell’animo umano, quando si allontana dalla pienezza dell’essere e dal proprio equilibrio: allora la traccia vermiglia si stagliava drammatica sulla tela, lacerandola; qui invece le colate di colore, poste sul retro del supporto, si intravedono attraverso i fori che oltrepassano il dipinto, ricreando la visione del colore originario del quadro: la luce filtra sulla tavola e si riflette sulla superficie specchiata, dando origine a differenti prospettive; le opere vengono reinterpretate e si trasformano nel tempo, permeate da una nuova e rinnovata energia.
Anche “Girasole – Autoritratto” ci porta a “guardare dentro l’opera” , instaurando un rapporto partecipativo più stretto con l’osservatore: all’interno si scopre il ritratto giovanile dell’artista, anch’esso inserito in una struttura circolare. A livello metaforico, il fiore ruota continuamente seguendo la luce dell’astro solare, traendone vita e calore, così come l’artista percorre il suo cammino, alla costante ricerca dell’ispirazione e del miglioramento.
I moduli quadrati, a spigoli vivi - tipici del periodo iniziale – si sono evoluti in forme smussate e convesse, che trasmettono una sensazione di maggiore coesione con l’ambiente circostante e svelano una progressiva tendenza dell’artista alla riflessione, tesa al raggiungimento di una preziosa saggezza.
La forma circolare è quella che meglio si appresta a simboleggiare il senso di ciclicità del tempo, il cui scorrere – benché continuo ed inesorabile – concede tuttavia la possibilità di seguire un percorso di crescita unico e del tutto personale: sul piano pittorico l’opera ripresa e riproposta perde di intensità ed immediatezza, ma conserva l’ “essenza” e lo spirito originario, arricchita di nuove valenze e connotazioni.
Mediante l’inserimento di nuovi moduli e supporti viene proposta una lettura innovativa del dipinto, che non si ferma in superficie, ma invita a guardare “in profondità”, oltre la soglia del visibile e della pura percezione, per arrivare a cogliere l’essenza cosmica universale, essenza profonda della natura e dell’animo umano.
Irene Montà   2012

 

 

E-vento

 

Mondi fantastici galleggiano su cieli neri. Vortici verdi popolano pianeti sconosciuti. Forze invisibili agitano terre incontaminate. Sono le opere di Fernando Montà il cui soggetto non è il visibile vorticoso ma l’invisibile e dinamica energia di cui l’artista rappresenta la forma: il vento.

Elemento costante nelle opere di Montà, il vento penetra nei dipinti fin dal 1992 quando fu affrontato il tema della Mareggiata. Il soggetto reale in questa serie di lavori non è tanto lo sconvolgimento dell’acqua, frantumata come una miriade di fili d’erba, ma l’energia invisibile che dall’elemento liquido trae forma. Il vento, appunto.

Nel lavoro, successivamente frammentato in moduli, predomina il colore azzurro, e mare e cielo si distinguono per il groviglio di pennellate che modellano l’acqua. La natura, agitata o violenta, però non da luogo ad un paesaggio realistico ma ad un complesso astratto.

In Monadi Nomadi, sempre contraddistinto dall’azzurro, la scomposizione dei moduli spesso si accentua fino ad arrivare all’alternanza. L’onda assume sempre più una connotazione vegetale: canneti, fili d’erba. Le pennellate dinamiche che danno forma all’energia dell’aria qui identificano l’elemento acqua con l’elemento terra in una mareggiata di verde.

Nell’opera Luna si assiste ad un notevole cambiamento. La natura è circoscritta in un tondo, lo sfondo diventa scuro e l’erba, vista dal basso, più rigida. L’artista ha perso la madre, il mondo dell’infanzia è scomparso per sempre, la natura è vissuta attraverso il ricordo dei prati infantili ma il presente non è più luminoso, all’azzurro è subentrata la notte, nella Luna è racchiusa la natura del tempo perduto. Il lavoro è sempre frammentato, alla molteplicità del reale si aggiunge ora lo scarto della memoria, tra il mondo interiore e la realtà si è creata una lacerazione incolmabile. Il vento, sempre presente, è un elemento di vibrazione cromatica e l’ondeggiamento degli steli erbosi rispecchia il vibrare delle emozioni.

Nelle Colline emergono di nuovo degli squarci azzurri ma lo sfondo continua ad essere cupo, il vento è pungente, l’erba si trasforma in aculei, la sofferenza personale si trasfigura in rilievi inquietanti, la natura, schematizzata, rivela il suo lato oscuro.

E-vento è l’ultimo lavoro di Montà. Qui il soggetto è reso esplicito sin dal titolo. Il mondo interiore dell’artista appare più sereno, l’immersione nella natura è totale. Le opere sono realizzate non più in acrilico o tempera su tavola ma in olio su tela; il colore è più fluido, il supporto più cedevole. L’urgenza ormai sembra esaurita, il bisogno di una rapida essiccazione ha lasciato il posto ad un’elaborazione lenta, ad una meditazione profonda così come il rapporto con la natura. Il dolore sembra placarsi nelle pennellate, sempre vorticose ma più brillanti e con ampi squarci d’azzurro. Le linee si sviluppano dinamiche intorno ad un centro riunendosi in un tondo; lo sfondo è sempre del colore della notte ma il cuore del lavoro è più luminoso. La realtà non è più frantumata, il passato sembra conciliarsi col presente, il ricordo fluisce senza premere con assalti pungenti. L’unità è raggiunta, il cerchio è intero, non più frammentato in pannelli separati.

Il vento è ora un elemento rigenerante, la natura rigogliosa e incontaminata ricorda ancora la Sardegna cui l’artista si è ispirato in precedenti lavori. Le emozioni profonde dell’infanzia sembrano tornare nei colori ora teneri ora squillanti. Il vento che accarezza una natura vergine trasmette un senso di libertà quasi selvaggia.

Emergono delle allusioni figurative. In un’opera, oltre al blu del cielo, dei vortici rosa rimandano ad un paesaggio di tetti. In un’altra un groviglio di rami rosa rammenta l’intricata vegetazione sulla riva di un torrente. Paesaggi accoglienti, che ispirano gioia e rivelano una profonda empatia con la natura, l’artista vi penetra con una particolare indagine, diventa egli stesso vento fino a coinvolgere lo spettatore.

 In quest’ultimo lavoro Fernando Montà sembra ritrovare l’interezza e la serenità del mondo infantile quando non conosceva ancora la sofferenza per la separazione e la perdita dei propri cari e di un mondo permeato d’innocenza e immerso nella natura.

 

Maria Erovereti    giugno 2004 

L U N A  -  Fernando Montà

 

Testo critico di Elisabetta Tolosano

 

Tema centrale dei dipinti più recenti di Fernando Montà è la natura, non rappresentata attraverso realistici paesaggi figurativi ma in composizioni che tendono all’astrazione.

La sua è una natura interiore, evocata dal profondo, legata ai ricordi d’infanzia, agli affetti famigliari, alle persone care.

Il suo fare pittorico è un tentativo di ricostruire qualcosa che non c’è o che non c'è più, di ristabilire un rispetto troppo spesso violato per l’ambiente naturale, un desiderio di armonia tra l’uomo e il mondo, una ricerca, quasi nostalgica, di ritrovare luoghi incontaminati dal progresso urbano.

L’atto del dipingere è anche, per Montà, un modo per indagare il mistero della vita, per cercare di comprendere l’ignoto, la gioia e il dolore, la sofferenza di una perdita.

I dipinti di questa serie s’intitolano “Luna” e sono composti da più pannelli.

Il più grande comprende sedici tavole che formano un unico ampio quadro. Le tavole sono accostate lasciando uno spazio di alcuni centimetri, tanto da fare entrare nell’opera anche il supporto, in altre parole la parete, su cui poggiano.

L’effetto è di una dilatazione spaziale, come se il dipinto tendesse ad espandersi, mantenendo però un fulcro centrale.

Questa decostruzione dell’opera rimanda a una frammentarietà dell’esistenza, che viene però controllata e ricomposta. Le tavole, nonostante gli spazi che le separano, ricostruiscono il disegno originario del tondo centrale ricongiungendo, metaforicamente, il molteplice all’unità.

Su uno sfondo nero l’artista ha dipinto un tondo, al cui interno compare un intreccio di linee verdi tracciate con segno sintetico.

Possono ricordare i fili d’erba di un prato. Si tratta, infatti, di riferimenti naturalistici stilizzati collegati a luoghi precisi.

Alcune Lune, sono il ricordo di Brusnengo nel biellese, il luogo dove l’artista ha vissuto un’adolescenza felice, in contatto costante con la natura e che ha lasciato a diciannove anni per andare a vivere in città.

Le più recenti sono invece legate ai paesaggi di Bosa in Sardegna, dove in quella natura ancora selvaggia e incontaminata l’artista ha ritrovato l’emozione di un tempo, la sensazione forte di libertà data dall’aria dell’isola e dal vento che scuote, spazza, pulisce.

I fili d’erba, a volte aguzzi come spade, conferiscono un’idea di dinamismo, di velocità, ma danno anche il senso dell’imprevisto, dell’ignoto che si cela dietro la bellezza.

La sua non è tanto una pittura informale, poiché non è presente la casualità del gesto o lo spessore materico del colore, è piuttosto una pittura controllata, in cui uno stato d’animo può essere trasposto con rigore oggettivo e con un’accurata scelta di colori freddi: i blu, gli azzurri, i verdi che solo talvolta acquistano la tonalità più calda del verde oliva.

 

Elisabetta Tolosano, 2001

 

 

M O N A D I – N O M A D I – Fernando Montà

 

 

Testo critico di Ivana Mulatero

 

Assorbire il flusso della pittura, essere percettivamente attratti verso un nucleo irradiatore di energie cromatiche, pulsanti e irraggianti che costituiscono di primo acchito l’ossatura aerea e leggera del quadro, simile ad un gazebo discreto e rispettoso della natura su cui si posa. Le opere di Fernando Montà si posano invece su un altro tipo di natura, non siepi viticci o intrichi erbosi, ma di mattoni e cemento, una natura edificatoria insomma, privilegiando gli anfratti da cui si stillano ancora tracce di vissuto. Presenze affidate alla materia costruita, lavorata, creata e annebbiata da patine nerastre dell’usura.

Lo stesso lavorio dell’artista, il gesto compiuto dalla mano che raccoglie frammenti, MONADI appunto, dalla profondità dell’immaginario ribollente e cerca di accenderle sulla superficie della tela, o sia essa la materia zincata, legno, muro ed ogni altro supporto prodotto dall’uomo.

Pensiamo alle scie luminose scaturite da un semplice fiammifero, l’accendersi veloce sulla ruvida e granulata carta, già compie un movimento. Un movimento di scorrimento, rapido, secco come una nota cantata in semicroma e, parimenti, la mano che trattiene il pennello agisce con altrettanta rapidità, si infiamma e si deposita come energia liberata dal magma fertile dell’immaginario; ma è utile sottolineare una distinzione venutasi a creare nel corso dell’operare di Montà rispetto alle passate esperienze in cui il quadro era il campo di un totale attraversamento dei segni, essi comprimevano, lo spazio simbolico della tela, ne esaurivano ogni altra potenzialità in una forza centripeta, di virtuale risucchio in un centro irradiatore.

Ora, nelle opere qui esibite, i segni sembrano a tratti ritrarsi, riscoprire altri centri generatori, non esclusivamente appartenenti allo spazio del quadro ma con un intento esplorativo, accampare diritti verso altri spazi, quelli reali e non più virtuali. Le pareti, le stanze.

L’intenso equilibrio dei segni vigorosi sostanzia sintatticamente una dimensione più vasta, allargata e coinvolta in una totalità d’espressione, in un delicato rapporto tra visione interiore e la realtà esterna, tra corpo pittorico e gesto che caratterizza i risultati.

Memori di una tradizione e di una poetica del gesto che accomunò una intera epoca, l’informale, possiamo apprendere che non la mera catalogazione storica sia necessaria quanto la consapevolezza di una estesa categoria dello spirito, con ricorrenze e cesure. In tal senso le opere di Montà possono essere considerate come MONADI-NOMADI in via di approfondimento che prelevano dalla tradizione l’ideale di spontaneità e la coniugano con la forza trainante che oggi spetta alle forme di energia fluida, al software dell’informatica elettronica e della luce al neon, al laser.

A fine Millennio la pittura non può esimersi, del resto, dal compiere un sorvolo su ambiti stilistici pertinenti alle arti visive e sulle culture materiali e tecnologiche la cui omologia non potrà che generare suggestioni e indizi di immagini che devono essere catturate e rese reali.

 

Ivana Mulatero,    giugno 1993

Dentro l’onda

La continua ricerca di nuove aperture comunicative, il rifiuto di forme espressive ripetitive, l’entusiasmo di sperimentare, indagare, conoscere hanno fatto si che la produzione artistica di Fernando Montà abbia recentemente registrato un ulteriore salto evolutivo senza per questo fargli perdere la sua identità personale, il suo linguaggio originale e inconfondibile.

La sua pittura di primo acchito sembra più astratta rispetto alla produzione precedente, mentre è solamente più satura di identificazioni di forme e paesaggi. Viene riproposta con un nuovo segno che ha dentro una grande energia vitale: si piega e scava, si impenna e si torce, si rigira e sfugge, scivola e scorre, si impenna e risale come l’onda di una mareggiata.

Si avvolge come valva di conchiglia. Si spiralizza come il vortice del tifone. Si erge, si spinge e fugge da un luogo scuro di vibrazioni: epifania di una tragedia incombente, ma dalla tenebra della piega dell’onda irrompe il lampeggiare del riverbero del sole con affondi di spade, fioretti, pugnali e poi … si placa.

L’artista ha quindi saputo rinnovare la sua tecnica rendendola protagonista e non soltanto strumento della sua ricerca espressiva.

Fitte trame sovrapposte, l’ordito di un tessuto prezioso, una sorta di stratificazioni geologiche, un groviglio di tendini in tensione, compongono apparizioni fugaci, cosmogonie mentali, spazi interiori della coscienza.

I quadri di Montà sono finestre, verande che si aprono sull’oscillante moto ondoso della vita; sul pulsare di onde sincrone che scavano la rena e si scaricano a riva, tra il vortice delle alghe vischiose, tra i vapori della spuma. Le nebbie marine gonfie d’aria, d’acqua e salmastro volano sulle rarefatte, immateriali regioni della mente evocando atmosfere di meditata intimità.

Le lunghe pennellate arrotondate, il coacervo di linee intrecciate, ricordano i fili d’erba chinati dal vento, i gorghi della materia, le rocce ignee raggelate nei processi magmatici di stratificazione.

E’ l’iconografia dell’insondabile mistero della vita e dell’affascinante avventura umana che procede e che avanza inesorabilmente, ma che stride e si dibatte, sospira e canta, gioisce e grida, sussurra, geme e ride. Sono tessere del grande mosaico dell’universo in espansione la cui eco riverberante e pulsante si riflette nel microcosmo della vita quotidiana attraverso la sineddoche dell’onda.

Il crepitio dei colori accesi e fusi in un intenso, lungo, avvolgente, fecondo abbraccio tonale ci ricordano con la leggerezza sospesa del suo respiro musicale la lucida razionalità progettuale di uno spazio senza orizzonte, senza inizio e senza fine, dove tutto pare fluttuare e pare inanimato, ma, invece è carico di forte tensione, di attese inquietanti, di presenze dissimulate.

Fernando Montà conferma, dunque, in questa mostra, di aver raggiunto il pieno possesso tecnico e conoscitivo dei mezzi di espressione pittorica, tanto da poterli piegare, senza ostacoli, alla registrazione di ogni sfumatura del suo linguaggio poetico attraverso un solido senso della struttura, raggiunto con inediti effetti di trasparenze cromatiche, perspicuità luministiche, leggerezza del tocco e precisione determinata del segno.

 

Giovanni Cordero    Torino, marzo 1992

Transizione

Ti chiedono tempo le opere di Fernando Montà, tempo e un animo disposto ad ascoltare. Rifiutano la logica dell’oggetto tornito, la prepotenza della sintesi.

Talvolta narrano, e lo fanno fissando istanti successivi, legati a un riquadro centrale con una coerenza che capisci sopraffatta da un’affettuosa esitazione, da un’esigenza di conservare non già altre immagini, che avrebbero ugualmente potuto farsi protagoniste, ma sensazioni e istanti di vita quotidiana da non smarrire: i sogni del circo, le emozioni d’una mostra o di un museo.

Altre volte pare ti invitano a seguire un percorso. Allora elementi familiari, angoli amati di una città, di un quartiere, di una strada passano in rassegna sotto i tuoi occhi, in una successione niente affatto topografica ma, per dir così, affettiva, nella quale niente di ciò che è caro può andare perduto. Sui luoghi, sugli oggetti, amati come testimoni o custodi di una vita e di un affetto carissimi, lo sguardo si posa, un po’ indugia, benevolo. E come lo sguardo indaga ogni particolare di ciò che ama, sia volto umano o materia inerte, così come le immagini di Fernando Montà rivelano un desiderio di precisione che è cosa diversa dalla volontà di analisi di ogni dettaglio, perché è ansia di trattenere presso di sé ogni particolare amato: le fenditure del selciato, le ombre nei portici. Ansia di possesso non già delle cose ma del loro aspetto, del loro volto, nel ricordo. Così, ogni segno si rivela guidato non da una volontà indagatrice votata alla conoscenza, ma da una memoria tesa a conservare le sensazioni sfumanti, le piccole emozioni, fermandole e moltiplicandole.

Se, infine, da segni calibrati, che indovini tracciati con gesti misuratissimi, ti senti condotto – lasciate le superfici e le familiari sembianze delle cose – fin dentro i flutti d’una tempesta estiva che si frangono su un’irriconoscibile riviera, puoi lasciarti andare, puoi seguire con lo sguardo, da un rifugio sicuro, le acque furenti e un ricordo lontano. Nessuno ti scuoterà discettando sulla scienza dei colori.

Tiziano Marghetich  gennaio 1992

Sedici ministudi per un’opera

Fernando Montà mi fa vedere i lavori esposti in questa mostra, ancora fogli sciolti, non incorniciati, sul tavolo della sua casa. Di fronte a me è seduta la moglie. La bambina Irene, di otto anni, va e viene, mangiando un panino.

Scrivo queste cose perché i dipinti ci raccontano la vita del pittore, i suoi ricordi, l’amore per la famiglia, per le tradizioni. Parliamo del Biellese di cui è originario (anch’io sono nato a Biella), con la moglie di Mondovì dov’è nata e dove mia moglie e i bambini erano sfollati durante la guerra. Cerco dei punti di contatto, dei ricordi comuni.

Ognuna di queste tempere, tutte della stessa misura, è circondata, quasi incorniciata, da sedici ministudi a matite colorate. Sono variazioni sul tema; a volte, come in Sogno di libertà, raccontano lo svolgersi di una storia, quella di una tigre. Fa eccezione l’Omaggio a Raffaello che è circondato da piccoli disegni con frammenti della Scuola di Atene. Mi viene spontaneo parlare dello straordinario cartone dell’Ambrosiana di Milano.

Montà è impegnato nell’ecologia, nella difesa dell’ambiente. Vorrebbe che si chiudessero i giardini zoologici. Elsa la leonessa e Sogno di libertà sono una presa di posizione.

Crede nelle tradizioni, nel valore dei ricordi. Parla con commozione della vecchia Topolino di suo padre. Forse la dipingerà. La rosa della mamma è un omaggio alla madre; Amicizia, Irene con il cane Lampo, è un tenero ritratto della figlia, come lo è Il pesciolino rosso con la bambina di profilo che osserva il pesce nella boccia di vetro. Mi fa notare, appeso alla parete, un quadro eseguito con la tecnica del pointillisme, quando all’Accademia era alla scuola di Piero Martina. Ha conservato da allora la precisione del segno, la finezza del tocco. Si noti come è disegnato il cestino con uva, banane, mele, una melagrana (Natura morta n.1) e l’altra versione monocroma, color magenta, dello stesso soggetto (Natura morta n.2).

La tempera è un colore duro, che non consente trasparenze. Montà è riuscito in Colori in libertà a rendere la leggerezza, la grazia dei fiori gialli e viola, di cui si sente quasi la fragranza; lo stesso si può dire delle rose di macchia di Primavera.

L’attesa, con la bicicletta appoggiata al muro, è un elogio della vita semplice.

Mi pare che tutti questi lavori siano la testimonianza di una scelta morale, di uno stile di vita, di un ottimismo verso il futuro, fondato sulla difesa dei valori del passato, sulle sue memorie.

 

Renzo Guasco, maggio 1987

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